sabato 26 aprile 2014

Dal diario di Frank Iodice: 25 aprile 2014

Ieri, nella sua nota di viaggio, Frank ci ha raccontato qualcosa in più riguardo al suo incontro con il Presidente.
Ecco le sue parole...

25 aprile – Riguardo al mio incontro con il Presidente

Mi rendo conto di non avervi detto molto riguardo al mio incontro con il Presidente Mujica, ne parleremo meglio dal vivo a fine giugno, quando rientrerò a Nizza e verrò a trovarvi nel Salento col primo volo disponibile.
Non posso fare a meno di descrivervi il suo sguardo, ero venuto qui quasi solo per quello, avevo bisogno di guardarlo negli occhi e stringergli la mano per dare un'anima al protagonista della mia storia. L'anima di un personaggio è qualcosa di vivo, non nasce sulla carta ma negli occhi della gente che incontri.
Quando l'ho visto uscire dal suo ufficio, ho pensato: quest'uomo non ha la faccia di un politico, gli altri politici che ho incontrato a Montevideo avevano quella faccetta mediocre che dimostrava in ogni suo lineamento una certa predisposizione a dare il proprio culo per un migliaio di voti in più. Lui, invece, mi ha dato l'impressione di non fregarsene nulla dei voti, come se essere lì gli piacesse ma non fosse disposto a dare in cambio nessuna parte del suo corpo. In televisione mi era sembrato un vecchietto dolce che raccontava le sue esperienze politiche e di vita, ma di persona era tutt'altro: un uomo carismatico, con occhi fermi e dolci e i movimenti lenti di chi conosce la vita.
Mi avevano avvisato che non aveva tempo da perdere con uno sconosciuto arrivato dall'Europa, perché, come me, ce n'erano almeno uno al giorno, il Presidente è una specie di star, mi avevano detto. Eppure io non ero un fan che voleva strappargli le mutande e farsi autografare il diario di Hello Kitty; mi è
bastato parlare con lui per cinque minuti, raccontargli che dietro le mie spalle c'era un intero paese che condivideva la sua filosofia di vita, e regalargli un libro di Seneca, quello che lui cita spesso, e che io avevo letto tanti anni fa, quando ancora non sapevo che un giorno lo avrei regalato a un presidente della repubblica.
Vi racconterò il resto dell'incontro di persona, adesso basta parlare del Presidente, dobbiamo occuparci della ricerca della felicità, e credo che ormai sia chiaro che l'incontro con Mujica non era l'epilogo di questa ricerca.

venerdì 25 aprile 2014

Dal diario di Frank Iodice: 22 e 23 aprile 2014

Quelle che seguono sono due note di viaggio di Frank: il suo viaggio continua e i suoi lettori aumentano a dismisura!

23 aprile – Il ministro ha detto no, ma noi abbiamo scritto il nostro saggio sulla felicità per la gente vera, quella che vive di emozioni, non per lui... E ci scusiamo se il titolo di questa nota è un po' lungo; anche se, per scusarci, è diventato ancora più lungo, però quello che importa è che abbiamo chiarito già nel titolo che del ministro e del ministero non ce ne importa un fico secco.

Come vi dicevo qualche giorno fa in un'altra nota, il testo in spagnolo è pressoché pronto, mentre quello in italiano necessita ancora un po' di tempo per raffreddarsi ed essere rivisto a casa, con calma, quando avrò digerito quest'intensa esperienza in Uruguay. Ciò nonostante, l'ho fatto leggere già ai miei amici più intimi e alla parte della famiglia che lo ha reputato interessante, e mi ha sorpreso una cosa che oggi voglio condividere con voi: la nostra ricerca della felicità coincide con la loro ricerca della felicità! Adesso, per esempio, vi faccio leggere un'email della mia cara amica Meli, che viveva a Nizza fino all'anno scorso e che forse rivedrò la settimana prossima a Buenos Aires: le sue parole mi hanno ricordato la ragione per cui ho scritto il saggio e tutti gli altri libri. Avevo appena parlato con la cara Maria, l'impiegata del MEC, che si era scusata per non avermi potuto aiutare, un testo scritto è troppo compromettente, mi aveva detto, quelli del sesto piano non vogliono responsabilità, e io le avevo spiegato che quella cavolo di dichiarazione l'aveva richiesta lei e che a me non importava nulla di quello che pensava il ministro, puoi tenere la copia aggiornata per te Maria-Adriana, non preoccuparti, le avevo detto, ti ringrazio Francisco, auguro il meglio a te e ai giovani pensatori del paese della filosofia per il vostro progetto sulla felicità, aveva risposto lei, quando mi è arrivata questa email della quale vi ho parlato. Le email sono così, arrivano sempre quando devono arrivare...

...Lo que estoy tratando de decir es que tu relato ha influenciado mucho mi historia personal. Es decir, ya hace tiempo, te diría desde que estaba en Niza, tengo ganas de trabajar de lo que realmente me gusta. Entonces es una idea y un sentimiento que tengo desde hace tiempo y ahora lo estoy poniendo en práctica. Y luego, llega tu ensayo, acerca de la felicidad y debo decir que cada linea que leí, se ha reflejado en cada idea que tengo en la cabeza, con respecto a la felicidad. Todos esos pensamientos sobre la felicidad que se han acumulado en mi cabeza desde hace años han sido leídos y reflejados en tu ensayo. Es como si toda esta idea que tenía la hubiese visto escrita por alguien que escribió acerca de esto. También he leído libros o he visto películas al respecto, pero tu ensayo me ha parecido un fragmento de sinceridad y de fiel relactación del asunto. Por lo tanto, ha sido un placer leerlo y te agradezco mucho que lo hayas compartido conmigo.


22 aprile – Riguardo al saggio sulla felicità

Recentemente ho incontrato un anziano scrittore di origini italiane, il signor Mario Bianchi – che non è un nome scelto a caso per mantenere l'anonimato, come succede per quelli che si chiamano Mario Rossi, ma è il suo vero nome – il quale ha fondato una specie di circolo di autori uruguaiani, uno di quei club in cui tutti parlano di letteratura togliendo del tempo prezioso alla letteratura stessa e finendo perciò per diventare degli esperti di testi che però non hanno più il tempo di scrivere. Questo al signor Mario Bianchi non gliel'ho detto perché non ne ho avuto l'occasione; in genere è meglio non offendere nessuno se non te lo chiede espressamente come, purtroppo, è abituata a fare molta gente a cui piace essere offesa e per questo ti obbliga a farlo quasi come se fosse un favore personale, così diventi uno che offende e non te ne rendi neanche conto, ti sembra quasi di essere uno che, al contrario, regala amore al mondo intero, sparge fiori sui viali con parole musicali, e invece stai offendendo i poveretti che hanno avuto la sfortuna di chiamarsi Mario Rossi e non, per esempio, Giuseppe Verdi, come il musicista, o Franco Neri, come l'attore del quale era segretamente innamorata mia nonna.
Il signor Bianchi, dunque, è uno scrittore, autore di numerosi testi, soprattutto di poesie, belle poesie, in spagnolo e in portoghese, ha lavorato a lungo a Buenos Aires e anche in Brasile. Se vi dovesse capitare di leggere un suo libro, adesso sapete che l'autore è un uomo vero e non si tratta di un anonimo sotto falso nome.
Il club del signor Bianchi è in una piccola sala all'interno di una stazione del tram in disuso, un posto caratteristico in cui si balla anche il tango e si mangia parrilla tutti i giorni tranne il lunedì, in calle San José. Dopo averlo conosciuto e aver parlato con lui delle poesie, che secondo me non dovrebbero avere il titolo e secondo lui sì, e che secondo me sono più belle se hanno almeno qualche rima e secondo lui no, ho pensato che forse non era il caso di fargli leggere il saggio sulla felicità, ma poi ho cambiato idea perché i libri si scrivono per farli leggere a tutti e non soltanto alla gente che ha i tuoi stessi gusti letterari. Domani gliene parlo, gli ho già detto che il testo in italiano sarà pubblicato dal mio editore e che abbiamo già un contratto, così non gli vengono strane idee. Quando ti fregano le idee – e a fregartele sono persino autori più vecchi e più affermati di te – impari a tutelarti. Ecco un consiglio che possiamo dare a chi decide di dedicare la sua vita a quest'attività. A quelli che invece scrivono per hobby non mi sento di dare nessun consiglio, anzi, vorrei che loro ne dessero a me perché non so proprio come si possa essere capaci di dividersi in due, avvocati e scrittori, ingegneri e scrittori, oppure medici e scrittori... Non vorrei divagare, ma aggiungo soltanto che li invidio a morte perché io non ci riuscirei.

Volevo parlare del saggio sulla felicità e mi sono perso nelle mie divagazioni sentimentali. Riguardo al saggio, vorrei rivelarvi che in realtà non si tratta di un vero saggio, io lo chiamo così e gli altri hanno incominciato a chiamarlo così per colpa mia, ma il testo è una fusione di alcune parole del Presidente Mujica, liberamente tradotte dallo spagnolo, e quelle dei due protagonisti della storia. Non posso rivelarvi di più, però vi prometto che presto ve lo faremo leggere...

giovedì 24 aprile 2014

Dal diario di Frank Iodice: 20 e 21 aprile 2014

21 aprile, mattina - “Io scrivo per ribellarmi e non per leccare i piedi ai burocrati”

Un autore di testi dovrebbe avere un'etica personale. La mia mi impone normalmente di non avere mai a che fare con i burocrati. Non so perché da due mesi a questa parte mi sia messo nelle loro mani per ottenere il permesso di utilizzare la filosofia di Mujica. Forse è stato il senso di responsabilità, il fatto che dietro di me ci fosse un paese intero, il paese della filosofia, il mio editore che mi assicurava un sostegno economico, oppure perché questa non sarà una vera e propria pubblicazione in quanto alcune frasi inserite nel testo non sono le mie ma del Presidente stesso.
Fatto sta che chi nasce tondo, come si suol dire, non muore quadrato... Poco fa ho avuto una piccola discussione con un impiegato del Ministero, il cui nome farò meglio a non rivelarvi, una discussione che è terminata con la frase che dà il titolo a questa nota e che adesso riporterò integralmente:
Mi hanno detto di passare dopo le feste per informarmi su una dichiarazione di interesse che apparentemente il Ministero dell'educazione vuole farmi accludere alla pubblicazione del saggio sulla felicità. La tua dichiarazione è qui, ecco cosa ti hanno scritto. Ma questo non è quello che mi hanno detto di persona l'ultima volta che sono venuto; siete stati voi a propormi una dichiarazione di interesse, per quanto mi riguarda volevo soltanto il permesso del Presidente di utilizzare alcune sue frasi. Non è abitudine del Ministero emettere dichiarazioni di interesse per pubblicazioni edite. Pubblicazione già significa che un testo è edito, non c'è bisogno di dire pubblicazione edita. Emettere una dichiarazione significherebbe avallare il contenuto della tua pubblicazione. Che cosa avete letto di tanto grave da farvi cambiare idea? Nulla, non è nostro compito giudicare le qualità letterarie del testo, inoltre, dato che si tratta di un saggio ispirato alla vita del signor Presidente, dovresti essere autorizzato da lui, e non mi sembra il caso. L'ultima volta che sono stato qui, la tua collega al primo piano ha parlato al telefono con la segreteria della presidenza e le hanno detto che potevo scrivere quello che volevo; inoltre la scorsa settimana ho incontrato anche il Presidente, guarda, ho persino una fotografia in cui siamo abbracciati! Lo hai intervistato? Perché avrei dovuto!, io non sono un giornalista, ognuno deve fare il suo mestiere; avevo solo bisogno di guardarlo negli occhi e stringergli la mano per dare un'anima al mio personaggio. E di cosa avete parlato, allora? Della felicità, una cosa a cui tu hai deciso di rinunciare quando ti sei messo la cravatta!, ma non preoccuparti, ho capito perché non mi darete il vostro consenso, è a causa dei racconti degli anziani, quelli che ho riportato integralmente!, questa si chiama censura! Ma quale censura! Non ve lo aspettavate che avrei intervistato amici di infanzia del Pepe e di sua moglie, vero?!, pensavate che avrei raccontato la solita storiella che raccontano sui giornali, ma io non sono un giornalista, te lo ripeto, dell'economia e degli investitori stranieri non mi importa niente, io scrivo della vita vera, della miseria in cui vivono i tre quarti dei tuoi concittadini mentre tu ti trastulli dietro a quella bella scrivania da burocrate! La burocrazia non è uno scherzo, giovanotto!, esigo il tuo rispetto. Non credo che lo avrete mai, io scrivo per ribellarmi e non per leccare i piedi a quelli come te.

21 aprile, pomeriggio - La dichiarazione d'amore del MEC

Rientrando a casa ho ricevuto un messaggino sul telefonino! Un'impiegata del Ministero dell'educazione in Italia ve lo ha mai mandato un messaggino sul vostro telefonino?! Beh, a me, sì, ed ecco quello che mi ha scritto: ciao Francisco, sono Adriana, del MEC, ho saputo che hai incontrato il Presidente, complimenti!!!, non preoccuparti per la dichiarazione di interesse, ci penso io.
Ora, premesso che non mi sarei mai aspettato che mi contattassero così, ho esitato per un momento perché non sapevo se dirle subito che avevo appena mandato a quel paese il suo collega del sesto piano oppure se fare come fanno le ragazze quando ti dicono una bugia senza dirtela in realtà, vale a dire, omettendo una parte della verità, quella parte in cui sono contenute le bugie. Non è facile, soprattutto perché essere una ragazza è un'arte che non si improvvisa quando sei un ragazzo, ma ci ho provato. Se puoi, passa di qui più tardi, mi ha detto, e porta la lettera che ti hanno dato, la buttiamo!
Così sono tornato al MEC per parlare con lei, l'ho trovata disponibile e sorridente come sempre, mi ha fatto accomodare e si è scusata per il comportamento del collega. Gli spiego io che il tuo testo è soltanto una parte del progetto, gli racconto del paese della filosofia e delle scuole, non preoccuparti. Per la verità, le ho risposto, a me della dichiarazione del ministro non è che importa poi così tanto!, non mi fraintendere Adriana, ma il fatto che a loro, al sesto piano, il testo non sia piaciuto, per me è una vittoria e non una sconfitta. È per questo che sei sempre così sorridente? Anche per questo; comunque, ti dicevo, per me è un fatto di etica, ho sempre scritto per ribellarmi a quelli come il tuo collega del sesto piano.
Ho raccontato ad Adriana che da quando sono qui avrei potuto raccontare le solite storie, trattare argomenti di interesse economico, e invece ho preferito parlare con la gente vera, con gli anziani del barrio, che mi hanno raccontato la versione del popolo, quella che a me interessava di più, non quella dei politici. Quando Adriana mi ascolta, mi sembra sempre che le piaccia la mia voce più delle parole stesse, e che quello che dico le serva per ritrovare il coraggio di inseguire la sua felicità. Il testo va bene, mi ha ripetuto sorridendomi, non c'è nessun motivo per cui non debba piacergli, il mio collega deve aver frainteso tutto. Ti ringrazio Adriana, sei dolce, e credi nella felicità, è alla gente come te che è dedicato il saggio; della dichiarazione d'amore del MEC non m'importa niente...


20 aprile – La vera Montevideo, per chi ama la verità

Recentemente è stato realizzato un reportage di quarantotto minuti sull’Uruguay. Un giornalista italiano è venuto qui e ha intervistato alcuni imprenditori locali, titolari di aziende vinicole e agrarie, nonché il Presidente Mujica nella sua chacra.
Il reportage della televisione italiana è molto interessante, descrive la vita di chi in Uruguay ha investito soldi e fatica e ne sta raccogliendo i frutti. Il giornalista, inoltre, portava una bella cravatta gialla e arancione e aveva noleggiato una macchina veloce all’aeroporto di Carrasco, con la quale si è potuto spostare anche verso l’interno, e verso le mete turistiche della costa. Per migliorare l’economia di un paese bisogna parlare degli investimenti possibili in modo da invogliare gli imprenditori stranieri a venire qui e spendere i loro soldi. Questo ci è chiaro. Ma ci sono tante altre cose di cui parlare, che non hanno nulla a che fare con l’economia, sono cose di cui nessuno parla. E adesso ve ne parlo io.
La scorsa settimana, per esempio, sono stato nel lato povero della città, nella zona dell’Ippodromo, dove la gente vive in case di mattoni e lamiere, strade intere fatte di mattoni e lamiere, che d’estate ardono come padelle sul fuoco e d’inverno si congelano. I bambini che vivono in questi quartieri, di mattina, non riescono ad alzarsi perché si svegliano congelati, e quando verso le undici il sole incomincia a riscaldarli, finalmente escono a giocare. Non tutti sanno scrivere, molti sanno a stento parlare, per far rispettare i loro spazi usano pugni e morsi. L’umidità raccolta sotto i bassi soffitti durante la notte si trasforma in gocce ghiacciate che cadono sui loro letti per tutto il giorno, e di sera sono costretti a coricarsi nelle lenzuola umide. D’estate, invece, quando le temperature qui raggiungono quaranta gradi all’ombra, le lamiere scottano e in quegli stessi letti ci si scioglie in una pozza di sudore.
Quando un giornalista deve parlare di economia, nel quartiere dell’Ippodromo non ci mette piede altrimenti i turisti e gli imprenditori stranieri non si convincono a venire in Uruguay. Ma io non sono un giornalista, sono uno che sta vivendo questa città con il corpo e con l’anima. Può darsi che a voi non importi nulla delle bidon-ville e della povera gente che va in giro con gli asini e i carri di legno per raccogliere plastica e carta dal fondo dei bidoni dell’immondizia; vederli mentre si tuffano nei bidoni non è bello come vedere i ricchi turisti argentini e brasiliani che si tuffano in acqua a pochi chilometri da qui, sulla spiaggia di Punta del Este.
Mi dispiace per gli imprenditori e per i laureati in economia, ma quando fai lo scrittore come lo faccio io te ne freghi degli investimenti possibili e ti occupi della miseria, perché la maggior parte degli uruguaiani vive nella miseria, vale a dire in condizioni che noi in Europa non siamo in grado di immaginare.
Nel reportage della televisione italiana non hanno neanche parlato del sistema legislativo di questo Paese, e in particolare di una legge che vieta di arrestare i minori di diciotto anni. Ci sono istituti di recupero per i minori, dove per un omicidio si prevedono tre anni, che diventano due se ci si comporta bene, e ancora meno se ci si comporta benissimo. Questi istituti si chiamano INAU, ce ne sono tre a Montevideo, ognuno funziona in una maniera diversa. Quello che ho visitato io è una specie di carcere, ci sono le sbarre alle finestre e si devono dividere i ragazzi per non farli sbranare a vicenda. I cinque impiegati che ci lavorano hanno dovuto frequentare persino un corso di autodifesa prima di essere assunti. In altri istituti per minori – mi hanno raccontato – si usano le droghe, e i ragazzi passano il giorno a letto.
A causa di questa legge a favore dei minori, a Montevideo c’è un tasso di criminalità giovanile molto alto, soprattutto perché gli adulti che vogliono rapinare un negozio o commettere reati anche peggiori, usano i ragazzini, per cui si creano piccole bande di un adulto e tre ragazzi per esempio, in quartieri pericolosi come Marconi o Casavalle. Il mio amico Pablo, che ci lavora, dice che non è facile resistere a lungo nell’INAU, gli impiegati restano al massimo un paio d’anni là dentro; lo stesso vale per le impiegate, se non subiscono prima violenze gravi.
Ci sarebbero tante cose di cui parlare, basta sedersi al bar e osservare le persone, e le loro storie ti arrivano nelle mani senza che tu faccia alcuno sforzo. Questa è una città piena di storie, c’è molto di più che uno sparuto gruppetto di imprenditori che hanno fiutato affari d’oro e si sono fatti intervistare dalla televisione italiana; l’Uruguay è un paese di gente libera, che non accetta compromessi, ma è anche un paese di donne sole che si realizzano soltanto rimanendo incinta, gravidanza dopo gravidanza dopo gravidanza, talvolta con uomini diversi, e a vent’anni già hanno tre figli; appena il più grande incomincia a camminare ne vogliono un altro, e poi un altro ancora, perché, senza, non sarebbero nulla, soltanto povere e anonime passanti.

IL TESORO DI SANT'IPPAZIO

Buongiorno cari lettori,
vi segnaliamo una recensione pubblicata su LiberArti.
Il tesoro di Sant'Ippazio di Alberto Colangiulo è un affascinante giallo!


Sant'Ippazio, il santo protettore degli attributi maschili

Nella notte attesa tutto l'anno, nella notte in cui sacro e profano, credenze e preghiere si mescolano in un perfetto mix di tensione emotiva, tutto si ferma e si rompe perché è successo qualcosa di terribile.
Siamo nei primi anni '80, in un borgo del sud, nel basso Salento, lì dove finisce l'Italia. È la notte dell'Assunta, quella fra il 14 e il 15 agosto, quando il paese aspetta l'uscita della Santa Agata Vergine e Martire per un pellegrinaggio che durerà una notte intera. Ma nell'altra chiesa del paese, quella che per tradizione dovrebbe essere chiusa in quei giorni, viene ritrovato in fin di vita Don Gino, il parroco del paese. È la chiesa di Sant'Ippazio, protettore degli attributi maschili, ma è anche la chiesa “che bacia dal lato lungo” la casa della Maria, la donna più sola, più bella e più chiacchierata del paese, quella donna che Fischio e Vasco, nel vortice della loro primavera dei sensi, proprio quella sera decidono di andare a spiare.

Parte da qui il romanzo che Alberto Colangiulo conduce abilmente su due livelli di lettura, da un lato il romanzo di formazione, con Fischio in preda ai suoi ormoni, alle prese con i primi problemi d'amicizia con Vasco e col rapporto teso con il padre; dall'altro, il romanzo a tinte noir che vedrà il maresciallo Gerardi, da poco giunto nel posto, imbattersi in una comunità ansiosa di sapere quello che è accaduto ma allo stesso tempo “gelosa” di un tesoro che non ha mai visto.

I conflitti di coscienza di Fischio e il conflitto sociale di Gerardi

Fischio cercherà nel suo primo rasoio un modo per sentirsi grande, Gerardi troverà in Verzin e Nardi due appuntati che, rotta la diffidenza iniziale, lo aiuteranno ad entrare nelle pieghe e nei sussurri della comunità. L'autore riesce ad entrare nell'animo di questi personaggi e ce li consegna persone, facendoceli conoscere attraverso i loro vizi e le loro virtù, la loro gestualità ed umanità. Ce li fa sentire veri con le loro voci, con le loro sigarette, e con il caldo che soffrono. Perché in tutto il romanzo si respira uno scirocco tremendo che tutto appiccica e tutto invade, che tutto rende lento e faticoso.

Il felice esordio di Alberto Colangiulo si snoda intorno a poche ma conturbanti donne e si declina su un vasto repertorio maschile che, sotto l'influenza di un Santo protettore della virilità, mette in mostra la propria fragilità ma anche la volontà di determinare e salvare la propria paternità.

mercoledì 23 aprile 2014

Dal diario di Frank: 15 e 16 aprile 2014

Continuate a seguire il viaggio di Frank Iodice in Uruguay, alla ricerca della felicità...

16 aprile - Il mistero della panna montata

Stamattina ho preso un autobus per Maldonado, che è un paesino tranquillo alle porte di Punta del Este, la località balneare per eccellenza; i grossi palazzi di Punta del Este si vedevano già dalla strada che scende verso la costa, una statale poco trafficata e piena di sole tutto l'anno. Henry e io abbiamo mangiato un paio di palmeritas alemanas, che sono una specie di biscotto danese con lo zucchero caramellato, e siamo partiti con un itinerario più o meno studiato. La stazione degli autobus di Montevideo è anche il posto dove ci sono i negozi più chic, si chiama Tres Cruces, la gente lì ti guarda male se porti un paio di scarpe come le mie, che hanno fatto la loro storia; invece in centro ti guardano male se porti scarpe nuove: insomma, per una ragione o per un'altra, qui ti guardano sempre male!
Ci accompagnava una certa eccitazione per la notizia della pubblicazione de Le api di ghiaccio, che si scrive con l'articolo Le, ma sui cataloghi si trova senza l'articolo; è come se dall'Italia mi avessero chiamato per dirmi che era nato il mio bambino, soprattutto perché un libro, una volta messo al mondo, è come un bambino che poi deve prendere il suo cammino e farsi amare dalla gente. Farsi amare è molto più difficile di amare.
Il caffè a Maldonado è acido e bruciato, non c'è molto da vedere, lo capirete dalle foto che vi allego: case basse e colorate, gente cordiale che non ti guarda le scarpe, molti cani che fanno amicizia con i bambini agli angoli delle strade. I bambini e i cani sembrano abbandonati. Per mangiare
qualcosa siamo entrati in un bar tranquillo all'ombra degli alberi di un parco, e anche del bar vi invio la foto; ma cercherò di non mostrarvi più tante fotografie altrimenti non leggerete il resto delle note e guarderete soltanto quelle. Il bar era pieno di libri, mi si sono illuminati gli occhi come a un bambino davanti a un negozio di caramelle. Ma ormai i bambini non si emozionano più davanti alle caramelle se non hanno una certa risoluzione grafica all'altezza delle loro apparecchiature portatili. I libri comunque erano di autori e autrici locali, ed erano anche in vendita, così ne ho comprato qualcuno. Le ragazze che gestivano il locale erano molto gentili, mi hanno raccontato la sua storia, io ho raccontato loro la storia delle mie scarpe e di come sono arrivate in Uruguay; ora, mio nonno diceva sempre che bisogna parlare con la gente guardandola negli occhi, e aveva ragione perché ogni volta che lo faccio mi succede qualcosa di meraviglioso. Le ragazze che vedete nella foto insieme a me mi hanno dato il numero del direttore di una rivista letteraria su cui, se mi va, posso far pubblicare la versione spagnola del saggio sulla felicità: lo contatterò la settimana prossima, fino a lunedì qui è tutto chiuso per la settimana santa, anche per chi non è un santo. L'autore del libro illustrato che ho comprato per mia sorella, Anna, si chiama Dario Parrissi: Anna è ormai una signorina, legge moltissimo, infatti si esprime già come una persona adulta. Comunque, appena il saggio sarà pubblicato, faremo un presentazione presso il bar delle ragazze che vedete nella foto. Mi interessa molto la rivista che mi hanno segnalato soprattutto perché è distribuita gratuitamente nei locali e nelle librerie!
Da Maldonado abbiamo preso un altro autobus e siamo andati
in un paesino ancora più piccolo, San Carlos, dove c'è un
cimitero indiano. Quello che mi incuriosiva era il perché questo cimitero si trovasse sul retro di una chiesa cristiana. 79 lapidi del 1800 in un giardino che sembra un orto, all'ombra della chiesa, ospiti ete
rni dei cristiani, e non si può chiedere loro se stanno gradendo il soggiorno.
Per riflettere sugli indiani e sull'evangelizzazione di queste terre che - credetemi - è ancora in corso, se prendiamo in esame quelli che ti fermano per strada e ti domandano se credi in Dio, non c'era nulla di meglio che mangiare un gelato: e ora vi spiego il mistero della panna montata!
Siamo entrati in una piccola gelateria, di fronte alla chiesa, una ragazza sorrideva con la bocca chiusa, un'altra serviva i gelati, e una terza, che doveva essere il loro capo, le osservava con le mani nelle tasche del grembiule. Un cono con due gusti, di fronte alla chiesa di San Carlos, in Uruguay, costa 92 pesos, circa tremila lire. Mango e frutilla, le scarpe di cui vi ho parlato mi facevano bollire davanti a quei gelati, se consideriamo che sono scarpe invernali e che oggi a San Carlos, secondo il telefonino di ultima generazione di Henry, c'erano 28 gradi all'ombra. Mentre la ragazza che sorrideva con la bocca chiusa mi allungava il mio cono da 92 pesos le ho chiesto di aggiungere un po' di panna! Tutte e tre si sono paralizzate, il capo ha guardato con severità la ragazza che sorrideva con la bocca chiusa, l'altra è rimasta con la paletta a mezz'aria e mi ha detto: mi dispiace, non posso. Perché non puoi?, ti pago la differenza! Non posso perché la panna è prevista soltanto per gli altri coni, vedi, quelli a forma di barchetta. Ho capito, ma un cono con tre gusti costa 100 pesos, quindi ti do la differenza di 8 pesos e tu mi dai un po' di panna. Mi dispiace; ha guardato di nuovo il suo capo, era di ghiaccio, principessa del male, e mi ha ripetuto: non posso proprio, mi dispiace ma non è previsto dalle procedure, posso cambiarlo se vuoi. Come, cambiarlo?!, non è un paio di pantaloni, non voglio che butti questo cono per darmene un altro!, lo sai dove sono stato la settimana scorsa? No, mi ha risposto lei, sempre con la sua paletta in mano. In una bidon-ville, ho visto l'interno delle case di ferro, che d'inverno diventano frigoriferi e d'estate forni crematori, i bambini non possono andare a scuola perché di mattina si svegliano congelati, e quando il calore del sole riscalda un po' il tetto fatto di lamiere tutta l'umidità raccolta durante la notte inizia a colare sui loro letti. Questo che c'entra con la panna?, mi ha chiesto la gelataia. Nulla, mi andava di raccontarlo a qualcuno, e una che non vuole darmi un po' di panna mi è sembrata la persona giusta.
Ora, bisogna considerare che un poveretto con un gelato al mango e fruttilla senza la panna avrebbe il diritto di protestare formalmente, chiamare i servizi pubblici, i pompieri se necessario, la polizia, il telefono azzurro, se non ha la sua panna. Io però ho cercato di rimanere razionale e ho proposto una soluzione alternativa: quanto costa un vasetto solo con la panna?, le ho chiesto. Non si può vendere un vasetto solo con la panna, mi ha risposto. Ma insomma!, che cosa devo fare per avere un po' di panna in questo paese???
Henry allora mi ha messo una mano attorno alle spalle, dolcemente, come si fa con i pazzi, e mi ha sussurrato: andiamo, dai, non c'è nulla da fare... Ma io volevo soltanto un po' di panna, è lì, guarda, in quel barattolo di alluminio! Lo so Frank, ma non c'è più nulla da fare, dai, vieni...
La mia panna è rimasta a San Carlos, mentre mi allontanavo sull'autobus e mi domandavo perché al mondo esistessero tante procedure e tanta malvagità: io volevo soltanto un po' di panna e la panna è rimasta nel barattolo di alluminio per una ragione che rimarrà sempre un mistero; sono sicuro che a quest'ora ne avranno buttata via un sacco altrimenti sarebbe diventata acida. Ero un uomo distrutto e senza la panna.
Bene, vi descriverò un altro paesino, un paio al massimo, ma non di più altrimenti mentre aspettiamo la dichiarazione d'amore del ministero rischiamo di trasformare queste note di viaggio in una guida turistica, sebbene la nostra ricerca sia fatta anche di posti e non soltanto di parole.
Stasera siamo a Rocha, in un albergo che ha compiuto 106 anni il mese scorso. Nella hall e nel patio interno sono esposti i quadri enormi di James Mulleady, uno che da Los Angeles è venuto a vivere qui, nella sierra, e ha messo su una comunità di artisti. Voi siete degli artisti?, ci ha chiesto Annamaria, la direttrice. Io le ho risposto in inglese e ho fatto l'occhiolino a Henry, il quale è stato al gioco e ha detto: vede, questo qui è un famoso pittore americano, si chiama Lord Abraham Gal, è venuto apposta per incontrare il suo collega James. Oh, sure, this is nice! Do you like it? I love them!

Rocha è un paese piccolo, ma è il capoluogo del dipartimento, ci sono tutti gli uffici, fanno un buon arrosto, abbiamo mangiato asado chorizos nell'Americano, ce lo ha suggerito Annamaria per non farmi sentire la nostalgia della California, e nella piazza principale ci sono i bar dove bisogna dividersi le sedie con i cani, sono cani gentili ma pieni di pulci, può andare bene per uno che porta le stesse scarpe da due anni, ma per chi di voi stesse cercando una meta turistica più élite, non credo.

15 aprile – La Semana del turismo

Tutto fermo per la settimana santa, che, essendo questo un Paese laico, chiamano settimana del turismo e che, non essendo io né credente né turista, mi ha fatto incazzare perché dovrò aspettare fino a lunedì prossimo per andare al MEC a ritirare la dichiarazione di interesse della quale vi ho parlato nelle scorse note, note che a quanto pare stanno per volgere al termine...
Ho in mano una cartina dell'Uruguay, approfitto delle ferie forzate e prendo un autobus per andare a visitare la costa Est, dove ci sono dei paesini di pescatori in cui di sicuro cucinano la frittura di pesce, che mi manca tanto. Da quando sono arrivato, mangio carne tutti i giorni perché costa poco e perché è la cosa più sana che ho trovato, in tutto il resto delle pietanze c'è lo zucchero! Montevideo è una città molto dolce.
Su questa mappa presa in porto, vi dicevo, ho segnato qualche nome e qualche indirizzo che mi hanno segnalato gli amici, se sarò fortunato incontrerò un vecchio anarchico che me ne racconterà di cotte e di crude sulla dittatura militare di cui mi sono occupato per scrivere il saggio, che, tuttavia, non sarà affatto un saggio storico, anzi, detto tra noi, non sarà neanche un vero saggio, ma un testo unico nel suo genere, come è giusto che sia ogni testo scritto da che mondo è mondo!
Vi mostrerò anche altre fotografie che dimostreranno – almeno lo spero – l'enorme dualismo in cui vivono gli uruguaiani, ricchezza e miseria, e, badate bene, parliamo di miseria e non di povertà, perché tra le due condizioni c'è una sostanziale differenza che potremmo ricondurre alla parola speranza: nella prima non c'è voglia di migliorarsi, non si conosce la speranza, non la si necessita affatto; la seconda, al contrario, che è quella conosciuta dalla mia famiglia, la cui storia mi ha reso quello che sono, si fonda sulla speranza, sulla ricerca di un miglioramento e di una rivalsa sociale e culturale. Ecco, la miseria che ho visto nelle bidonville di Montevideo è intellettuale, ed è sufficiente a se stessa, negli occhi azzurri dei bambini con le facce sporche non c'era voglia di migliorarsi, di cercarsi una vita migliore, o di scoprire cosa c'è oltre il quartiere dell'ippodromo, perché i loro genitori non glielo hanno insegnato.
Devo scusarmi con i lettori, perché non ho fotografato le case di cartone, purtroppo non ne ho avuto il coraggio: chi vuole capirmi, mi capirà. Come ho detto al Presidente quando l'ho incontrato, io non sono un giornalista, per grazia di Dio, ho soltanto scritto sui giornali, ma poi sono fuggito da quel mondo; il mio mestiere è cercare storie e raccontarle, non rubare la dignità della gente fotografandola mentre si sazia con il mate e lo zucchero...

martedì 22 aprile 2014

Dal diario di Frank: l'incontro col presidente

Frank ci racconta l'incontro col presidente Mujica.
Una grande emozione, anche per chi lo segue da lontano!
Continuate, cari lettori, a leggere il suo diario di viaggio...

Quando incontri il Presidente torni da me

José Mujica e Frank
Il mare era proprio lì a due passi, qualcuno lo chiama fiume, altri soltanto bocca del fiume, ma sappiamo che ognuno di noi decide che cos’è quella macchia marrone laggiù dietro l’angolo. Sulla nostra testa, c’erano i grossi palazzi della presidenza e degli hotel di lusso, perché anche qui in Uruguay, paese di uomini liberi, c’è un sacco di gente schiava del lusso. El Pepe invece è un uomo semplice, mi ha invitato a sedere accanto a lui e con due parole mi ha insegnato che cos’è la felicità.


Sono qui per stringerle la mano e ringraziarla per l’esempio di umanità e libertà di spirito che sta dando a tutti i giovani pensatori, gli ho detto. Da dove vieni? Dalla Francia, le ho portato questo. Grazie, che cos’è? Un libro di Seneca che lei dovrebbe conoscere, era mio, non l’ho comprato apposta, ci sono i segni della lettura, guardi, però ci tenevo a regalarglielo. Mentre leggeva la dedica, ha squillato il mio cellulare! Mi scusi, lo spengo subito, questa dev’essere la mia fidanzata, vede, lei mi ha detto: quando incontri il Presidente, torni da me! A quel punto, José Mujica, che, oltre a essere un uomo sobrio che ne ha passate di tutti i colori, è anche un Presidente della Repubblica, ha posato il libro di Seneca accanto al suo caffè, mi ha dato una pacca sulla spalla e ha detto due parole che mi basteranno per tutta la vita, mi ha guardato negli occhi e mi ha detto: suerte viejo!, che in italiano vuol dire: buona fortuna vecchio mio…


sabato 19 aprile 2014

Dal diario di Frank

Cari lettori,
oggi vi proponiamo tre piccole note di viaggio, che Frank ci ha inviato dall'Uruguay...


9 aprile – Incontro con la Florida State University

Ieri ho avuto la possibilità di parlare via Skype con un gruppo di studenti presso l'Università di Stato della Florida, i quali hanno adottato “Anne et Anne” (un mio romanzo pubblicato a puntate su Nuova Antologia), insieme ad altri libri di autori e autrici più noti, per un Syllabus letterario. Ma non è di questo che volevo parlarvi, bensì del secondo argomento di cui abbiamo discusso: la ricerca della felicità.
Bisogna innanzitutto riconoscere che si trattava di persone molto preparate, che mi hanno posto domande molto intelligenti, molto azzeccate, riguardo alla psicologia dei miei personaggi, al mio rapporto con loro, con i personaggi, al dualismo follia - pazzia e alla mancanza di figure importanti nella mia vita che ha inciso sulla mia prosa e su questa continua ricerca di insegnamenti per i più giovani, come quelli che io da solo mi sono dovuto cercare rifugiandomi nel mio mondo letterario, nei libri, che mi hanno letteralmente salvato la vita.
Vi racconto questo perché ha a che fare con il saggio sulla felicità e con coloro cui è dedicato, e che io e la Sindaco Ada Fiore chiamiamo giovani pensatori.
Ho parlato della teoria sulla libertà e sulla felicità, quella che il Presidente José Mujica ha ripreso da Seneca e da altri antichi pensatori. E abbiamo anche parlato di veri autori e autrici e dei veri editori, ringraziando il cielo perché, come nel nostro caso, ne esistono ancora.
Non ho ancora incontrato il Presidente di persona, ma ci sto lavorando, ho detto loro, benché accetti anche l'ipotesi di non riuscirci e di ritornare in Europa solo con questi schifosi documenti che non hanno né occhi né mani. Ma un uomo è un uomo anche quando ammette i suoi limiti, mi ripeto, e se andrà così, tornerò ugualmente felice. Per il momento, comunque, continuiamo a crederci e a insistere con i contatti che ho costruito finora, in attesa che diano i loro frutti...


Scrivo queste note, quasi dimenticavo di dirlo, anche per ringraziare gli studenti della Florida State e la loro dolce insegnante Irene Zanini Cordi, per il nostro incontro di ieri, con la speranza che abbia arricchito loro come ha arricchito me. Negli ultimi tempi sto diventando molto ricco, anche se non ho mai una lira in tasca.


8 aprile – Divagazioni sentimentali

A breve dovremmo ricevere una versione scritta - che fa sempre comodo - di quanto mi hanno detto al Ministero e in Presidenza, la sta preparando la mia zia preferita, Adriana-Maria, con la collaborazione dell'intero ufficio incartamenti, un'équipe di giovani donne appassionate di felicità, le quali, a differenza delle impiegate frustrate cui siamo abituati noialtri quando entriamo in un ufficio pubblico, se la spassano per tutto il giorno e lavorano sodo senza mai dimenticare a casa il thermos per il mate e il loro sorriso strafottente. Perché, se mi consentite un francesismo, la strafottenza in alcuni casi fa bene alla salute, in ufficio per esempio, quando il capo vi dice di rigare dritte e di sbrigarvi e che non vi pagherà un centesimo di più anche se vi hanno aumentato l'affitto e le rate della macchina e l'iscrizione dell'asilo e, e, e... Ma, sapete, a volte si può vivere bene anche in un bilocale modesto e poco ammobiliato, senza televisione via cavo, anzi, senza nessun televisore, e pure senza automobile... Le impiegate dell'ufficio incartamenti lo sanno bene e se la spassano da morire.
La cultura di un posto, comunque, ti entra dentro lentamente, la assimili e la rielabori quando riparti, e più a lungo vivi in una città, deduciamo, più a fondo la comprenderai. La rielaborazione fa parte del mio lavoro. Il pittore crea osservando, lo scrittore ricordando.
Mentre aspettiamo la dichiarazione di interesse, le persone che qui stanno vivendo la nostra ricerca della felicità e si stanno appassionando alle vicende e agli imprevisti che un giorno racconteremo più approfonditamente, iniziano a sentire che il mio è solo un periodo di passaggio e non rimarrò a lungo a Montevideo, la mia felicità, l'ho detto fin dal primo giorno, è a undicimila chilometri da qui, in un letto che mi manca da morire, se consideriamo soprattutto che in quel letto c'è la mia Anisetta che mi aspetta dormendo con l'abat-jour acceso.
Devo ammettere, giacché sto parlando dei fatti miei senza alcuna certezza che possano interessare a qualcuno, che scrivere di se stessi è una delle cose più seccanti che esistano, non bisognerebbe mai parlare di se stessi, nella stessa misura in cui non bisognerebbe mai parlare male degli altri, ecco le due regole che osservo sempre quando scrivo una storia, ma questa, come vi ho detto più volte, non è una
storia, è solo una nota di viaggio che servirà a ridere insieme a voi quando tornerò in Europa e parleremo finalmente della felicità.

5 aprile – Crack!

Stasera mi è successa una cosa strana che non posso evitare di raccontarvi, benché mi piacerebbe parlarvi di felicità e rivelarvi qualche dettaglio in più del testo che sto preparando in spagnolo e in italiano ispirato alla filosofia di vita del Presidente José Mujica, nonché alle interviste che sto realizzando in strada per conoscere il punto di vista della gente, che è quello che realmente mi interessa.
Stasera sono andato a bere una birra con Henry, non c'erano molti bar aperti, ne abbiamo trovato uno sulla pedonale, Sarandí, era vuoto ma almeno era aperto, e le cameriere ridevano come matte. Dalla birra alla rosticceria dove ci siamo fermati per comprare mezzo pollo e due salsicce non è successo nulla, siamo usciti parlando dei disperati con cui giochiamo a softball, e della televisione uruguayana, la TNU, che mercoledì mattina ha addirittura realizzato un servizio in diretta sul nostro gruppo di disperati fuori forma, tutti eccitati perché c'erano le telecamere, e ci siamo avviati verso casa, all'angolo tra Canelones e Convención. 
Gran parte dei palazzi è su due piani, vecchie case coloniali che una volta avevano il negozio al piano terra e le stanze private al primo, oggi in uno stato di trascuratezza che metterebbe in crisi molti europei, soprattutto quelli che vanno in giro con grossi trolley di marca e tablet comprati per seguire la moda. Tu non hai un telefonino come questo?, mi ha chiesto Henry. Ho un vecchio modello che uso soltanto per fare e ricevere telefonate. Non ti piace la tecnologia? Per nulla, mi deconcentra, è fatta di numeri, quando vedo questi aggeggi, non so perché, io vedo soltanto numeri e i numeri mi terrorizzano!
Arrivati all'angolo, mentre ci accingiamo a attraversare, vediamo una macchina della polizia con le sirene accese e sei persone in fila, con le mani appoggiate al muro, proprio davanti al nostro portone, che, per fortuna, avevamo chiuso a chiave, cosa che non facciamo sempre perché, a dire del proprietario, con il quale dovrò fare quattro chiacchiere domani mattina, questa era una zona tranquilla. Due poliziotti li perquisivano e li mettevano uno per volta nella macchina per portarli via. Un'altra volante è arrivata dalla quadra parallela a tutta velocità e si è fermata davanti a noi. Conoscete quella gente? Non lo so, sono un turista con un pollo in mano, ti pare che possa frequentare degli spacciatori? Stavate per entrare in quel portone e vi siete fermati quando ci avete visti. Avevamo paura, ma che succede? Sono spacciatori, stavano fumando crack! Il poliziotto nella seconda automobile raggiunge i suoi colleghi per concludere l'operazione alla quale abbiamo assistito in diretta, ne hanno portati via quattro, non si reggevano in piedi e ridevano perché forse non si rendevano conto di cosa stesse accadendo. Meglio della televisione americana, benché non abbia il televisore da almeno dieci anni, stasera ho visto un bel film d'azione che si potrebbe intitolare Crack, se non ce ne fossero almeno altri tre intitolati così. La puzza di quella roba, comunque, è orribile e ti si appiccica addosso come le risate forti di qualcuno che odi. Una delle vittime della retata, un ragazzo magrissimo appoggiato al nostro portone per riprendersi dalle botte, ci ha chiesto scusa e si è spostato per farci passare, non c'è problema, fai con comodo, gli abbiamo detto, non è che potevamo dirgli altro.
Avevo voglia di raccontarvi qualcosa sugli usi e i costumi locali, forse era meglio mantenersi su tematiche più sobrie, ma qui, di tematiche sobrie, non mi pare che ce ne siano tante. Questa è una città fatta di eccessi, forse in periferia è diverso, fuori da Montevideo ci sono soltanto campi, e nei campi la vita è certamente più tranquilla, ma la vita tranquilla può aspettare, adesso vado giù a vedere che succede, stanno sbattendo qualcosa contro la porta, deve trattarsi di quei due che sono rimasti qui sotto...

venerdì 18 aprile 2014

Dal diario di Frank: la vera letteratura e l'istituto Italiano di Cultura

4 aprile – La vera letteratura è fatta di vita, non di parole

Stamattina ho stampato presso il cyber café più sporco della storia una copia corretta del testo in spagnolo del saggio sulla felicità per consegnarla ufficialmente al MEC (Ministero di Educazione e Cultura) e ricevere in cambio una dichiarazione di interesse utile quando pubblicheremo il testo sia in Italia che in America.
Sono qui per vedere Maria. Qui non lavora nessuna Maria! In realtà si chiama Adriana, ma io la chiamo Maria. Ah, ho capito, tu sei quello della felicità, è per questo che ridi sempre! Anche per questo, ma soprattutto per un altro motivo che non ti posso rivelare. E in quella cartella che cosa c'è? Niente, solo i miei appunti. Li posso vedere? No, è una scaramanzia, non prima che vengano pubblicati. Allora non li mostrerai neanche ad Adriana! A lei sì, perché mi sta simpatica, anzi, le ho portato anche una copia con la dedica che potrà leggere o mettere sulla mensoletta dei defunti per farla leggere a loro, almeno non inventeranno la scusa del tempo quelli là. No, quelli non hanno scuse, i tuoi libri devono leggerli per forza.
Questo è stato, grosso modo, il mio discorso giornaliero con me stesso, che arriva senza preavviso e non può essere rimandato perché nasce da un bisogno impellente, quasi più forte di quello di scrivere, ma tutto questo, ai fini delle nostre ricerche delle felicità, non ha importanza, quindi, per evitare che anche voi vi perdiate nei miei mondi immaginari, sarà meglio parlarvi del MEC e della signora Adriana, detta anche zia Maria o più confidenzialmente Maria.
La collega di Adriana mi sorride subito quando entro nell'ufficio incartamenti al primo piano, Francisco como andas?, che significa, come stai?, ma lo avevate già capito senza la mia traduzione, e corre subito a chiamare Adriana perché, se sono qui con un mazzo di fogli in mano e un sorriso da ebete, può voler dire soltanto una cosa: il saggio in spagnolo è pronto, e in effetti lo è, mi è costato un mese di notti in bianco, senza contare tutto il tempo speso a casa prima di partire mentre la mia Anisetta mi preparava un caffè dopo l'altro, quasi come se la scrittura di testi fosse una specie di gioco di squadra. Adriana è nel suo ufficio, dietro una porta di vetro attraverso la quale si vede ogni cosa, persino di che colore sono i suoi vestiti e come muove le mani sulla scrivania mentre le annunciano la mia presenza nell'anticamera, poi, con il suo fare gentile e materno, viene fuori per parlare con me, ha in mano il mio biglietto da visita, quello su cui c'è scritto scrittore e uomo libero accanto all'immagine di un gufetto con gli occhiali, ma del gufetto con gli occhiali adesso non ci importa. Como andas Francisco?, evito la traduzione, quello è il testo corretto? Sì, diciamo che adesso è corretto ma potrebbe essere più corretto, è un lavoro strano il mio, non si finisce mai quando lo decidi tu. E chi lo decide? Loro, le rispondo, e indico le pagine stampate nel cyber café più sporco della storia. Ho capito, risponde Adriana, ma non so se ha capito sul serio, certe cose o si capiscono o non si capiscono, non si possono capire a metà. Per avere la dichiarazione di interesse ufficiale, il pezzo di carta che mi hai chiesto, ci vogliono al massimo una decina di giorni. Non c'è problema, sono qui per questo. Ma tu non hai una famiglia che ti aspetta, un lavoro o degli amici?, puoi stare qui tutto il tempo che ti pare? Per quanto riguarda la famiglia, le spiego appoggiando i gomiti sul bancone, ci stiamo pensando, e per gli amici, quelli, ogni tanto bisogna partire per un po'di tempo, per capire quali sono quelli veri!, te l'ho detto, Adriana, finché non lo incontro di persona di qui non me ne vado... e poi, forse mi mandano anche dei soldi! Beato te, mi dice Adriana, e visto che ieri sera me lo ha detto anche la cameriera della trattoria sotto casa, e incomincia a darmi noia, le spiego che la mia non è una vacanza e che non mi sto divertendo, mi manca un pezzo per essere felice, per il momento sono come una macchina con due ruote. Comunque, continua la bella signora del MEC, ho parlato con la segreteria della Presidenza, li ho chiamati di nuovo l'altro giorno. E cosa ti hanno detto? Che per il momento non c'è spazio nell'agenda, non penso che sarà tanto facile incontrarlo di persona. Non le rispondo perché è buona educazione aspettare che la gente finisca di parlare, infatti, per concludere la sua frase, aggiunge: ci sono disegnatori, giornalisti, registi che vengono da ogni parte del mondo per vederlo e non può accettare tutti, ma mi hanno assicurato che puoi utilizzare le sue parole per il tuo saggio e tutte le immagini che vuoi. Si tratta di un testo scritto, non ci sono immagini, forse solo una nella copertina, ma anche lì a volte non ce ne sono. Mi dispiace Francisco, intanto prepariamo la dichiarazione del Ministero, te l'ho detto, ci vorrà una settimana, al massimo dieci giorni, tu e il tuo editore potrete usare anche il logo del MEC e inserirlo nelle note, sai, quelle note piccole piccole. Ho capito, ma a me non basta, il benestare vostro e quello della Presidenza sono cose per intellettuali, per quelli che vivono nel loro mondo di belle parole ricercate, io scrivo per la gente della strada e scrivo solo cose vere, se non lo vedo negli occhi e non gli stringo la mano, tutto quello che ho fatto finora non avrà alcun valore. E questo testo, allora? Quello è corretto, ma, come ti ho detto, potrebbe essere più corretto.
Adriana, che quando è triste assomiglia ancora di più alla mia zia preferita perché tira fuori quella parte malinconica delle signore di una volta, quella che oggi cancellano con le creme di bellezza e simili oscenità, mi stinge la mano e mi ringrazia per la copia che le ho regalato, sopra c'è scritto: Per una bella signora che mi ha ricordato la mia infanzia in Italia con la sua voce dolce e il suo profumo di gran0, con la mia gratitudine, F. Mette l'altra copia agli atti, mi rilascia un altro numero di protocollo, si divide continuamente tra la funzionaria rigorosa e la donna premurosa, mi sorride infine e promette che mi farà sapere se le è piaciuto. Lo spero tanto, le rispondo, più della dichiarazione di interesse del MEC, perché il MEC non è una persona vera, è soltanto una sigla.


Istituto Italiano di Cultura di Montevideo

La cameriera della trattoria sotto casa si chiama Maria, mi dice sempre suerte y salud Francisco, e quando mi serve l'acqua mette sempre una mano dietro alla schiena come le hanno insegnato i proprietari che la controllano da dietro al bancone. Quella che io chiamo trattoria in realtà è una delle tante parrillas che si trovano dappertutto, ma io vengo qui a cenare perché dalla finestra di legno si vede un pezzetto di mare e anche quando mi fa male la mano riesco a distrarmi e a dimenticare il dolore per finire la pagina. Maria porta un apparecchio per i denti e indossa sempre una maglietta nera con la scritta Amor a Vos.
Domani mattina ho un appuntamento importante. Con chi? Con il direttore dell'Istituto Italiano di Cultura di Montevideo, un certo dott. Gialdroni. È per il saggio sulla felicità?, mi chiede Maria. Sì, può darsi che quelli dell' Istituto Italiano di Cultura di Montevideo possano accelerare i tempi e farmi incontrare prima il Presidente, dopotutto parliamo la stessa lingua! Ma tu non eri francese? Sono francese ma sono anche italiano, le spiego. Beato te, io sono soltanto uruguayana, dice Maria mentre la chiamano da un altro tavolo, sicuramente si tratta di un altro che arriva dall'Europa per scrivere un saggio sulla felicità, ogni giorno sogno fiumi di persone che cercano la felicità e si imbarcano per Montevideo. Ma la felicità non è qui! Io non sono venuto per cercare quella, anzi, quella l'ho lasciata a casa mia, nel mio letto, abbracciata alla mia Anisetta. La felicità, vi svelerò un segreto, ce l'abbiamo qui dentro, in qualche posto che non sappiamo mai individuare esattamente. Ritornando all'Istituto Italiano di Cultura di Montevideo, controllo la copia che ho preparato per domani mattina, l'ho stampata per mostrarla al dott. Gialdroni, è pressoché corretta, ed è una copia fortunata perché il ragazzo che me l'ha stampata portava una maglietta di Messi, il quale, a quanto dicono gli appassionati, fa sempre gol. La segretaria dell'Istituto Italiano di Cultura di Montevideo, che adesso chiamerò soltanto Istituto Italiano di Cultura per alleggerire la lettura di queste note, si chiama Silvana Rossignol, come Jean Rossignol, un amico mio...
Per strada continuano a suonare gli allarmi, anche le porte dei garage suonano a tutte le ore: ogni volta che le automobili e le persone entrano o escono, parte una sirena insopportabile! Mi chiedo chi abbia inventato un sistema del genere, una sirena infernale a ogni angolo, quale commissione di ingegneri specializzati si sia riunita, allora signori, da oggi in poi in ogni angolo della città ci sarà una sirena assordante che avvertirà l'intero quartiere quando qualcuno sta parcheggiando la sua macchina, o se sta uscendo per andare a prendere i suoi figli a scuola, sì, sì, ripetono i venti membri della commissione speciale di ingegneri riunita per l'allestimento dei garage, e per andare alla Feria, e a lavorare, certo, certo, è un'idea magnifica! Ma al momento della messa ai voti risultano diciannove sì e un no, tutti si preoccupano all'idea di un altro dibattito che farebbe perdere loro l'intera mattinata, una serena mattinata di aprile che potrebbe risultare utile per inventare utilissime campane elettriche per le chiese, frigoriferi vibranti che mantengono inalterato il livello di follia della maionese, e chiedono allora: chi ha votato contro?, per scoprire finalmente che si tratta del collega sordo, sordo per sua fortuna in questa città di pazzi.
Mi rendo conto di non aver detto molto riguardo all'Istituto Italiano di Cultura di Montevideo, che però avevo deciso di chiamare Istituto Italiano di Cultura, perché Isituto Italiano di Cultura di Montevideo era troppo lungo, ma domani, dopo esserci stato, lo farò.

Istituto Italiano di Cultura di Montevideo e politica locale

Nello stesso palazzo dell'Istituto di cultura c'era l'ambasciata del mio Bel Paese d'origine, del quale conservavo un affettuoso ricordo della vera pizza e della mia famiglia. La porta d'ingresso era in cima a una scalinata di marmo ripida come una montagna innevata senza sci, il legno delle imposte non aveva odore e poche foglie cadute dagli alberi della stradina in discesa si infilarono dentro assieme a me. Il vento quel giorno era contrario alla politica.
In quel periodo ero un giovane che scriveva di felicità, non mi importava nulla della direzione del vento, ma questo, per l'Istituto Italiano di Cultura, non aveva importanza. Entrai con le foglie, quindi, spinsi la porta pesante, il vetro brillante che profumava di detersivo costoso riflesse la mia faccia assonnata, avevo preso solo un caffè ed ero sveglio dalle cinque per sistemare la presentazione del testo e la traduzione in spagnolo. Avevo parlato con la segretaria, la signora Rossignol, che era stata molto gentile, signor Iodice, la aspettiamo con molto interesse domani mattina, aveva detto, io avevo sorriso come una ragazzina dopo il primo bacio.
Il dott. Gialdroni apparve dopo pochi minuti, era molto magro, di un certo fascino trasandato che noi europei sappiamo portare addosso anche in altri Paesi, aveva la fede e una giacca chiara di cotone. Questo è Frank Iodice, gli disse la persona che mi accompagnava. Molto piacere, Francesco, aggiunsi io. La mano che mi tese era sottile e incompleta, segno che non mi avrebbe aiutato, ma aveva anche un sorriso rilassato e onesto perché il rifiuto non dipendeva da lui.
Ci accomodammo nella sala riunioni per una chiacchierata informale, dietro alle sue spalle c'erano la bandiera tricolore e quella blu dell'Unione Europea, dietro alle mie, uno specchio, quindi le bandiere erano anche dietro di me. Il tavolo pesava tonnellate solo a guardarlo!, le sedie di legno e cuoio, povere vacche diventate sedie, non doveva essere stato facile. Molte grazie per avermi ricevuto, dissi. Figurati, dammi pure del Tu, è strano parlare in spagnolo tra di noi. Sì, in effetti è strano, risposi, si finisce per mescolare tutto. Ma io c'ero abituato perché avevo sempre parlato altre lingue che non erano la mia. La mia lingua madre era l'italiano, ma lo parlavo soltanto nei miei libri.
Quella mattina di tanti anni fa a Montevideo c'era un vento nizzardo che mi inseguiva ovunque andassi per non farmi dimenticare da dove venivo e dove dovevo ritornare; ognuno si sceglie gli agenti atmosferici che gli pare per ricordarsi di casa sua!
Noi, come Istituto, supportiamo molti eventi culturali realizzati da italiani in Uruguay, venerdì, domani, per esempio, ci sarà uno spettacolo teatrale proprio qui sotto, e stasera c'è Eugenio Bennato che suona Zitarrosa. Avete un teatro qui sotto? Sì, è uno spazio modesto che mettiamo a disposizione degli artisti anche per evitare troppe spese di affitti delle sale. Il mio, gli spiegai, non è uno spettacolo, si tratta di un saggio sulla felicità ispirato alla filosofia di vita del Presidente Mujica, sarà pubblicato anche in Italia dal mio editore, Lupo. Sì, lo conosco, è quello del Salento, vero? Sì, e da un po' di tempo si sta facendo apprezzare anche a livello nazionale, pubblica belle storie e confeziona libri succulenti!, Lupo è una persona eccezionale, appassionato inseguitore di sogni, come me. Guardai fuori, l'autunno era ancora lì ed era selvaggio, nessuno poteva addomesticare l'autunno. Per questo progetto, continuai, abbiamo il supporto del paese della filosofia! In Italia c'è un paese della filosofia? Certo, laggiù i giovani pensatori si formano un'idea propria, l'editore e la sindaco di Corigliano, la signora Ada Fiore, hanno accolto con entusiasmo la mia idea folle di partire per Montevideo con questi appunti per scrivere di felicità. Michele Gialdroni guardò più volte la mia cartellina gialla, tutti mi guardavano la cartellina gialla. Me l'aveva regalata mio fratello, Andrea, che amava leggere le mie storie e non se ne perdeva neanche una. Il saggio, continuai, non ha nulla a che fare con la visione politica di Mujica, anzi, quella non mi interessa per niente, il nostro è un approccio filosofico alla felicità, parlo di Seneca, di Erich Fromm, e uso alcune frasi del Presidente, per questo sto cercando qualcuno che mi aiuti a incontrarlo, e con il vostro avallo sarebbe più facile. Certo che Mujica in Italia è diventato davvero popolare!, sono tutti matti per Mujica, al di là delle scelte politiche che sul piano locale possono essere apprezzate o meno, come dappertutto. Infatti ero lì perché guardando soltanto le interviste online non avrei conosciuto l'altra metà della medaglia, inoltre ci tenni a precisare che io ero matto e che lo era anche il mio editore, eravamo matti perché credevamo nell'amore e nella ricerca della felicità, prima, molto prima di quella del denaro. Gialdroni mi fece una smorfia, forse non credeva che a me dei soldi non importava nulla, non ci credeva nessuno fino a quando non gli raccontavo che avevo regalato tutti i miei vestiti e che vivevo di sola arte, vale a dire, mangiando poco. Ciò che mi terrorizza più di ogni altra cosa al mondo sono i soldi, spiegai, ho una paura fisiologica dell'arricchimento, come se comportasse per forza la perdita di tutti i valori e soprattutto della fame di vita necessaria per scrivere quello che scrivo io.
Chiarito questo punto, Gialdroni, con gentilezza, una mano appoggiata sullo schienale della sedia accanto alla sua, - attorno a noi c'erano sei sedie vuote – mi spiegò qualcosa che avevo temuto ma che allo stesso tempo avevo escluso confidando in un sentimento connazionale: purtroppo, l'Istituto Italiano di Cultura deve mantenersi neutrale dal punto di vista politico, quindi, trattandosi di una figura attualmente impegnata, non possiamo esporci supportando un testo che in qualche modo ne tesse le lodi. Capisco, ma si tratta pur sempre di un presidente sudamericano eletto dalla maggioranza, e il messaggio umano e filosofico di quest'uomo, lo dobbiamo ammettere, è apprezzato da entrambi i gruppi, inoltre nel nostro saggio si fa riferimento all'uomo e non al politico. Mi sembra molto interessante, ma non possiamo, una lettera di interesse da parte nostra per un testo scritto... Non importa, gli risposi ridendo, possiamo sempre rivederci l'anno prossimo, quando Mujica sarà in pensione!
Una risata mise fine a questa parte della conversazione. Sebbene tutti fossero molto curiosi, il saggio era sempre chiuso in quella cartellina gialla e non l'avevo ancora fatto vedere a nessuno!

giovedì 17 aprile 2014

Dal diario di Frank Iodice: 1 aprile 2014

1 aprile – Dittature e dittature

C'è una cosa di cui nessuno parla riguardo alle dittature militari: l'Uruguay è un Paese molto piccolo, tre volte la Svizzera, tre milioni di abitanti dei quali uno e mezzo a Montevideo, un Paese, quindi, nel quale si può incontrare una persona più volte in un giorno, ma cosa succede se questa persona è la stessa che ti ha violentato vent'anni fa?!
In un bar di Calle Canelones, sotto l'ombra fresca della parrocchia di San José, incontro la signora Titi, che chiamerò così perché Titi è un bel nome e perché le ho promesso di scegliere un bel nome. Non mi rivela la sua età, ma allo stesso tempo non nasconde né le rughe né i capelli bianchi, porta una camicetta gialla con i girasoli, ha i seni grandi come tutte le signore di Montevideo, che è una città di belle ragazze con i seni grandi, ma questa è solo un'osservazione di uno che ha molta nostalgia di quelli della sua fidanzata, che sono lontani più di undicimila chilometri, quindi non è un'osservazione attendibile. Ritorno serio, sollevo la vista e mi accorgo che in fondo alla strada in discesa, a due quadre dal bar, c'è il mare, che oggi non è scuro come al solito ma di un azzurro intenso che tanta gente deve aver già descritto a quest'ora del pomeriggio.
Titi mi racconta che negli anni Settanta finivano tutti in carcere, chi a lungo, chi solo per un giorno, eravamo prigionieri politici, anarchici, ribelli, fanatici, eravamo tutti pazzi perché non avevamo altra scelta, mi racconta, la dittatura ti rende pazzo! Molte sue coetanee sono state violentate e torturate in quegli anni, fino all'Ottantacinque, mi dice, fino all'altro ieri! Quello che in Europa non immaginiamo è che oggi le amiche di Titi sono costrette a incrociare per strada i loro carnefici, gli stessi che quando erano ragazze hanno abusato di loro più e più volte, senza giustificazione se non quella della crudeltà lecita quando eri dell'Intelligenza, i Servizi Segreti. In generale erano loro quelli specializzati nelle torture, formati in Panama dai militari francesi. Titi confessa di odiare i francesi, ha le sue ragioni, non posso darle torto, mi racconta che al supermercato puoi incontrare l'uomo che ti ha picchiata quando eri in carcere, puoi incrociarti con lui in ascensore o vederlo seduto al bar a prendere un caffè, a godersi una pensione molto più consistente della tua, dopo una brillante carriera militare!
Le chiedo come può sopportare una cosa del genere, Titi ride forte, a Montevideo tutti ridono forte, e mi risponde: mi hijo, in Uruguay si è fermato il tempo per la metà di noi, siamo tutti in attesa che gli orologi riprendano a funzionare. Sui polsi dei politici ci sono buoni orologi?, le chiedo. Molto buoni, risponde Titi con un sospiro. Il nostro caffè è già finito, lo abbiamo bevuto bollente perché quando ti abitui al mate perdi la sensibilità della lingua, Titi mi guarda con la premura di una madre che ho lasciato tante volte e altrettante volte ho ritrovato in giro per il mondo, mi spiega che ricominciare dai brandelli della propria dignità per diventare di nuovo donna non è stato
facile, e che qualche volta avrebbe voluto uccidere con le proprie mani quell'uomo che ha riconosciuto nel supermercato o nell'ascensore del suo stesso palazzo, ma poi, saggiamente, aggiunge: non servirebbe a niente, dopo aver inventato la cosiddetta legge dei due diavoli – una sorta di patto grazie al quale quanto era accaduto durante la dittatura doveva essere dimenticato per non generare una nuova guerra fatta di
Quartiere del Cerro
vendette – abbiamo dovuto tutti rinunciare alla 
prima metà della nostra vita. Qual è stato il momento più difficile?, le chiedo. Quello in cui ho deciso di raccontarlo ai miei figli.
Ho incontrato Titi mentre ritornavo dal quartiere del Cerro, dove vive il Presidente Mujica, volevo vedere la sua gente per descriverla un giorno in qualche romanzo, le descrizioni più belle sono quelle che sopravvivono nel ricordo. Un giorno o l'altro però, non oggi, perché oggi non riesco a pensare ad altro che ai girasoli e a quanto bisogna essere malvagi per strapparli e schiacciarli sul pavimento di una cella.